.... Ovviamente dal mio modestissimo punto di vista.
Dopo una giornata di lavoro riesco finalmente a raggiungere intorno alle 18 il centro di Carpi.
Noto innanzitutto che il posto dove di solito cerco parcheggio in centro è abbastanza sgombro.
La mia prima impressione (ovvero per chi non ci fosse arrivato che ci fosse un po' di deserto) veniva però immediatamente negata dal fiume di persone che si spostava lungo il corso. Ovviamente si trattava principalmente di ragazzi a passeggio e di persone che erano più che altro attratti dalle vetrine.
Riesco comunque a giungere in tempo per la prima conferenza che avevo segnato nel mio calendario.
Boncinelli in "genoma". Il prof. Boncinelli avevo già avuto l'occasione di ascoltarlo, sempre in Carpi appena un paio di anni fa. Anche qui, vi riporto la mia prima impressione: mi sembra invecchiato.
La piazza Garibaldi è addobbata in modo abbastanza austero, salvo degli enormi diffusori che sembrano più adatti ad un concerto pop, sul palco una tavolone con un paio di sedie e segnaposti più semplici ed "anonimi" possibile. Le poltroncine, in numero piuttosto corposo, sono più nuove (e meno stinte) nelle prime file, quelle dietro dove mi accomodo sono anche un po' disfatte e la sensazione di comodità scompare rapidamente. Dopo una introduzione, sufficientemente tradizionale da lasciarmi sempre il dubbio se poi valga la pena di ascoltarle, il prof. decide per un breve fuori programma (beh per un "attimo" mi è scorso un brivido lungo la schiena, ;-) per affrontare addirittura il tema centrale del festival stesso. Dopo quello che inizialmente poteva sembrare un guanto di sfida a qualche oratore precedente e che invece si limita in un elenco di definizioni decisamente scolastiche, il tema viene finalmente affrontato. Ovvero accenni di storia della scienza e prospettive biologiche. Il punto più convincente è stato nella demitizzazione del genoma stesso. Partendo da una osservazione elementare (quando mangiamo un hamburger mangiamo una "montagna di DNA, quello contenuto nel sancta sanctorum di ogni cellula") e dalla riduzione a testo lineare dello stesso genoma portava la sua osservazione verso i contributi che definiscono l'unicità dell'individuo. La formuletta finale (che non rende giustizia all'intero discorso, ma giurerei sia quello che è rimasto nella mente di moltissimi ascoltatori) è che il genoma, inteso come punto di partenza ereditario che "consente più che inibisce", conta per circa un 40%, l'ambiente (o cultura o gli altri dieci modi in cui l'ha chiamato) per un altro 30-40% mentre il rimanente 20-30 % spetterebbe a quello che precedentemente aveva introdotto come "caso".
Sinceramente quando è uscito fuori con questo termine mi si sono rizzate le orecchie (i capelli come chi mi conosce può confermare poco possono fare) in quanto ho pensato che forse non essendo presente allo scorso festival (mi sbaglio?) volesse "polemizzare" a distanza con qualcun'altro... Nulla di tutto ciò. Il caso viene a finire nell'essere circoscritto in ciò che per limite della conoscenza o importanza "trascurabile" non sia studiato, noto, metodologicamente definito.
Quello che mi è sfuggito (o forse non c'era) è stato l'aggancio tra questi passi è la "nostra volontà e capacità di intervento".
Lo spazio riservato a domande ed approfondimenti personalmente non mi ha lasciato alcun ricordo....
A presto con le prossime parti.
Un Sorriso
P.S. In realtà alcuni spunti per approfondimento li avrei, ma ritengo che questo post sia già abbastanza ricco.
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