giovedì 12 marzo 2009

Hitchens dal Corriere della Sera

Per una volta un giornale fa una cosa meritoria e mi sembra onesto rimarcarlo.
Qui di seguito l'articolo pubblicato dal Corriere della sera a firma di Christopher Hitchens e pubblicato il 10 marzo scorso.
Buona lettura ovviamente anche negli archivi del Corriere : qui

RISOLUZIONE DELL' ASSEMBLEA
Se l' Onu vieta di criticare l' Islam
La religione musulmana avanza pretese particolarmente ambiziose. Tutte le religioni lo fanno, è ovvio, in quanto rivendicano la conoscenza della volontà di un essere supremo e se ne fanno interpreti esclusive. Ma solo l' Islam si dichiara depositaria della rivelazione ultima e finale della parola di Dio, l' eccelsa somma di tutti gli spiragli di verità concessi alle altre fedi, a portata di tutti i credenti grazie al testo inscalfibile e immutabile della «recitazione», o Corano. Se si ha talvolta l' impressione di avvertire, in tale pretesa, echi implicitamente assolutisti o persino totalitari, questo potrebbe derivare non da una lettura intransigente del libro sacro, bensì dalla religione stessa. Oggi sono i cosiddetti musulmani tradizionali, raggruppati nell' Organizzazione della Conferenza islamica, a chiedere alle Nazioni Unite non solo di consentire all' Islam di proclamare verità inconfutabili, ma anche di tutelarlo ufficialmente da qualsiasi critica o divergenza di opinione. Benché redatta in termini che ricalcano il linguaggio dei diritti umani e della condanna di ogni discriminazione, la Risoluzione 62/154 delle Nazioni Unite, non vincolante, sulla «Lotta alla diffamazione delle religioni», in realtà si propone di estendere la protezione non agli esseri umani, bensì alle idee ed opinioni, garantendo esclusivamente a queste ultime l' immunità dalle «offese». La prefazione del testo è infarcita di falsità che ormai non fanno più ridere, come nel seguente passaggio, in cui si dichiara che l' Assemblea generale delle Nazioni Unite: «Ribadisce l' importanza di sviluppare contatti ad ogni livello allo scopo di approfondire il dialogo e favorire la comprensione tra diverse culture, religioni, credenze e civiltà, e accoglie a questo proposito la Dichiarazione e Programma di azione adottato dall' incontro ministeriale sui diritti umani e la diversità culturale del movimento dei Paesi non allineati, tenutosi a Teheran il 3 e 4 settembre 2007». Si capisce subito a che cosa si vuole arrivare (mi rammarico di non aver potuto partecipare a questo incontro per riferire direttamente sulle sue ricche e variegate sfumature culturali, ma il visto mi è stato negato). Le clausole che seguono il preambolo ampolloso appaiono ancor più tendenziose e i toni si fanno perentori con il delinearsi della risoluzione vera e propria. Per esempio, il Paragrafo 5 «esprime la profonda preoccupazione che l' Islam venga frequentemente ed erroneamente associato alle violazioni dei diritti umani e al terrorismo», mentre il Paragrafo 6 «sottolinea con crescente sdegno l' intensificarsi della campagna di diffamazione delle religioni e degli appartenenti alle minoranze musulmane in seguito ai tragici eventi dell' 11 settembre 2001». Avete capito come funziona il trucco? Nelle stesse settimane in cui la risoluzione viene presentata alle Nazioni Unite per il rinnovo annuale, il principale Paese promotore dell' iniziativa (il Pakistan) firma un accordo con i talebani per chiudere le scuole femminili nella valle di Swat (a meno di 200 km dalla capitale Islamabad) e imporre ai suoi abitanti la Sharia, o legge islamica. Questa capitolazione è conseguenza diretta di una campagna di inaudite violenze e intimidazioni, comprese le decapitazioni pubbliche, ma è vietato menzionare la religione dei responsabili di tante atrocità, per evitare che la fede venga «associata» alle violazioni dei diritti umani e al terrorismo. Nel Paragrafo 6 si avverte il tentativo esplicito di confondere l' etnia con la religione. Tale insinuazione (che per inciso respinge gli attentati criminali dell' 11 settembre, di palese ispirazione religiosa, come semplici «tragici eventi») è in realtà essenziale all' intero progetto. Se si riesce ad abbinare razza e religione, allora la condanna indiscussa della discriminazione razziale potrà essere subdolamente estesa anche alla discriminazione religiosa. È una mossa goffa, ma funziona: la prova del suo successo è il termine assurdo e inutile di islamofobia, oggi di uso corrente come arma di ricatto morale. Per chiarezza, la fobia è una paura o un' avversione istintiva e invincibile per qualcosa. Ma alcuni di noi sanno spiegare con relativa calma e lucidità perché ritengono che la «fede» sia la più sopravvalutata delle virtù. (E non chiamateci «fobici», altrimenti protesteremo anche noi per l' «offesa»). L' intero scenario sarebbe molto meno intricato e confuso se il Pakistan, mettiamo, non insistesse nell' affermazione assurda e ripetutamente screditata che la religione possa determinare la nazionalità. Sono proprio queste rozze fusioni - che cosa distingue un saudita da un pachistano, la religione o l' etnia? - a suggerire una sovrapposizione tra religione e razza. Sarebbe di grande aiuto se gli hadith musulmani non prescrivessero la pena di morte per coloro che rinunciano all' Islam: ciò permetterebbe, anzi, di distinguere il credente sincero dall' ipocrita, e (nel caso delle donne con il velo o il chador) chi agisce con convinzione da chi subisce le pressioni della famiglia. Anziché fare ordine in casa propria e affrontare questioni ben più gravi, come il massacro dei musulmani sciiti per mano dei musulmani sunniti (e viceversa), la profanazione dei luoghi sacri musulmani da parte di malfattori musulmani, la discriminazione contro i musulmani Ahmadi da parte degli altri musulmani, la Risoluzione delle Nazioni Unite si propone di allargare l' area dell' oscurantismo dalla sua attuale patria nel mondo islamico fino al cuore delle democrazie postilluministiche, dove sono gli individui a vantare diritti, non le religioni. Andiamo a vedere dove ci porta il Paragrafo 10. Dopo aver elogiato superficialmente il diritto alla libertà di espressione, si afferma che «l' esercizio di tale diritto comporta doveri e responsabilità speciali e pertanto potrà essere soggetto a limitazioni imposte dalla legge o rese necessarie per il rispetto dei diritti e della reputazione altrui, per la sicurezza nazionale e la tutela dell' ordine pubblico, della salute pubblica, della morale e del rispetto per le fedi e le credenze religiose». Il pensiero sepolto in questa prosa tanto stereotipata è orrendo quanto la lingua che lo esprime e significa: attenti a come parlate, perché è nostra esplicita intenzione incriminare tutte le opinioni che dissentono dall' unica vera fede. E poi non dite che non siete stati avvertiti. traduzione di Rita Baldassarre
Hitchens Christopher
Pagina 34(10 marzo 2009) - Corriere della Sera

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